Ginestra – Presente ad un dibattito tenutosi nell’agosto del 2003 sui rischi che corrono gli inviati di guerra, in occasione del primo concorso fotografico “Ascanio Raffaele Ciriello”, indetto dall’amministrazione comunale e la pro-loco, su temi della pace, Amedeo Ricucci, inviato del Tg 1 e L7, testimone oculare della morte del fotoreporter di guerra-chirurgo plastico Raffaele Ciriello avvenuta in Palestina nel marzo del 2002, lo ricorda in questo modo:”Esattamente dieci anni fa, il 13 marzo del 2002, moriva a Ramallah, in Cisgiordania, il fotoreporter Raffaele Ciriello, ucciso dal piombo israeliano mentre stava solo facendo il suo lavoro. A parte la famiglia e qualche amico temo che nessun altro troverà il tempo, la pazienza e la voglia di ricordarlo. Perchè Lello era un free-lance e non aveva alle spalle nè una testata nè una redazione nè tanto meno i nostri Organi di categoria. Per questo non c’è stata all’epoca nessuna inchiesta giornalistica sulla sua morte. E per questo oggi non c’è un Premio a lui dedicato, nè una Fondazione che ne preservi il ricordo, com’è accaduto invece ad altri colleghi più fortunati. Lello deve accontentarsi di stare nella lista dei giornalisti italiani morti nell’esercizio della professione, con l’ulteriore beffa che la Tessera dell’Ordine dei Giornalisti gli è stata data da morto, e per un atto di pietas, non certo perchè se ne riconoscesse il diritto. Nemmeno le autorità italiane si sono curate di lui. L’ inchiesta aperta nel 2002 dalla Procura di Milano si è scontrata infatti sia con il muro di gomma eretto dal governo di Tel Aviv – che si è rifiutato di identificare e lasciare interrogare i soldati del carro armato da cui partì la raffica fatale – sia con l’indifferenza del nostro governo – con Silvio Berlusconi primo ministro e ministro degli esteri ad interim – che ha preferito chiudere un occhio, lasciando cadere la rogatoria dei giudici e svendendo anche l’orgoglio nazionale sull’altare dei buoni rapporti con Israele. Anche in questo frangente la stampa italiana ha volutamente ignorato la notizia. Eppure era la prima volta che un governo straniero si rifiutava formalmente di collaborare con la nostra giustizia. E inoltre la versione ufficiale data sulla morte di Lello – sarebbe stato scambiato per un miliziano palestinese, armato di un lanciagranate – cozzava con l’evidenza delle immagini filmate sia da Lello che da me e Norberto Sanna, per il TG1. Scambiare poi la piccola telecamera palmare di Lello con un RPG è semplicemente ridicolo, visto che la prima si impugna bassa e nelle mani, il secondo invece alto e a spalla . Parlare perciò, come hanno fatto i vertici di Tsahal, di “uno sfortunato e tragico incidente” è stato solo un modo per minimizzare i fatti ed evitare di assumersi le proprie responsabilità. In ogni caso, sono stati loro a scrivere la parola fine su questa storia. E noi gliel’abbiamo lasciato fare. Una fine amara, però, perchè ufficialmente risulta che Lello è stato ucciso da “ignoti” ed io invece l’ho visto bene il carro armato da cui gli hanno sparato. E di sicuro non lo dimenticherò, mai. P.S. Dieci anni dopo quel 13 marzo del 2002 vedo che i giornalisti continuano a morire, che i palestinesi continuano a soffrire per mano israeliana e che dei freelance (e dei precari) non frega ancora oggi niente a nessuno. Eppure tutti mi dicono che il mondo sta cambiando a una velocità vertiginosa e che niente sarà più come prima. Concordo, certo, ma chi l’ha detto che si cambia sempre in meglio? Ci sono giorni in cui non riesco proprio a pensare in positivo. Oggi è uno di questi”.
Lorenzo Zolfo
Le foto riprendono Amedeo Ricucci.