Barile – L’antica fontana del Palazzo, Kroj Pullasit, (così chiamata perché ubicata a nord del grosso fabbricato, Il Palazzo, già appartenuto nei secoli scorsi ai Principi di Torella), si presentava in forma quadrangolare con di fronte un largo abbeveratoio nel quale, attraverso le mammelle di una sirena e le narici di due leoni, confluivano copiose e freschissime acque.
A vasca piena il liquido esuberante si riversava in due lavatoi laterali dove le donne facevano il bucato. Col disastroso sisma del 14 agosto 1851, che causò circa 130 vittime e rase al suolo numerose abitazioni, la casa principesca crollò e con essa andò distrutta anche la fontana sottostante, ricostruita molti anni dopo in forma minore con tre arcate rivestite in pietra e mattoni e incastonate nel vecchio muro di cinta.
Col graduale abbandono della terra e l’arrivo dell’acqua in tutte le case, la fontana perse pian piano il suo ruolo sociale, igienico e di approvvigionamento idrico per famiglie, pastori, contadini e viandanti, fino al suo quasi totale e irreversibile abbandono.
Negli anni scorsi, grazie all’istituzione del Parco Urbano delle Cantine nello storico e tufaceo cucuzzolo dello Scescio (nel 1964 ineguagliabile teatro naturale per diverse riprese del film “Vangelo secondo Matteo” del regista e poeta Pier Paolo Pasolini), la fontana è stata ristrutturata e dotata di un adeguato impianto di illuminazione che di notte la rende ancora più bella e suggestiva.
Ma la sua vera, radicale e stupefacente rinascita si è realizzata solo nell’estate scorsa (quindici giorni di intenso lavoro per una superficie complessiva affrescata di circa venti metri quadrati) grazie all’impegno e alla lungimiranza dell’artista lucano Salvatore Malvasi, nativo di Pisticci ma residente a Barile da qualche decennio, dipendente della FCA di San Nicola di Melfi,che con i suoi splendidi e meravigliosi affreschi le ha ridato luce, decoro e signorilità.
Con al seguito una squadra di bravi e volenterosi allievi provetti, Smal (questo è lo pseudonimo del pluripremiato maestro di matita, pennello e colori), è riuscito a rinvigorire e far risplendere l’antica fontana, come a ridarle la parola per salutare turisti e passanti ed imprimerle al tempo stesso un’anima di umana vitalità e un afflato di sorprendente e contagioso magnetismo.
“I tre soggetti a cui si è ispirato l’artista, uno per ogni facciata interna alle arcate, riferisce il poeta-scrittore Emilio D’Andrea-sono allegoricamente significativi e indissolubilmente legati al territorio, alla storia e alle tradizioni del nostro comune. Nelle due nicchie laterali sono raffigurate le arcaiche divinità classiche simboleggianti il culto del vino e della gioiosità.
Nella prima il sempre ebbro Bacco, dio latino della vendemmia, del divertimento e del piacere del palato, non a caso con le gambe accavallate attorno ad una botte ed il capo cinto di verdi pampini e grappoli neri, mentre stringe nella mano del cuore una coppa di Aglianico del Vulture e in quella della ragione uno scettro d’oro adornato da grosse e rilucenti pigne d’uva, inequivocabile simbolo della sua gioviale e divina regalità.
Nell’altra il più mistico ed ibrido Dioniso, dio greco dell’estasi, dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi, tutto intento a gustare un grappolo maturo mentre, reggendosi su di un lungo e inconsueto forcone a quattro punte, pigia il piede destro in una tinozza ricolma d’uva, come ad enfatizzare, insieme alla sua natura agreste, selvaggia e primordiale, anche lo spirito divino che si rinnova nell’arcana venerabilità del rito della pigiatura e della produzione del nettare degli Dei e della delizia degli uomini.
La parte centrale, la più espressiva e preminente, vuole rappresentare la forza, i valori e la sacralità della Madre Terra, quale inno ancestrale all’amore, alla vita e all’inalienabile attaccamento alle proprie radici e alla prosecuzione della specie umana, animale e vegetale, nonché sempiterno e beneaugurante auspicio per la fertilità dei campi e l’abbondanza del raccolto.
Un innocente putto alato, forse Eros dio dell’amore e dei buoni sentimenti o più probabilmente l’eterno bambino figlio del popolo di Barile che deve continuare a crescere e progredire, col capo inclinato per il peso della botte piena tenuta sulle spalle (l’estenuante sopportazione del lavoro quotidiano e degli strazianti sacrifici dell’esistenza), poggia le sue vigorose gambette sul piedistallo in pietra dell’antico borgo, da cui sgorga un fresco ed invitante zampillo d’acqua sorgiva, primaria e irrinunciabile risorsa per la vita del mondo e dell’umanità. Fra i suoi piedi scalzi quasi saltella una manciata di genuine castagne del Vulture e ai lati spiccano le pergamene e i volumi della storia, della conoscenza e del sapere (il giorno di Barile Capitale Europea della Cultura).
Mentre le due gagliarde ed avvenenti statue desnude, Euterpe musa della musica e della poesia lirica, con i capelli cinti da una ghirlanda d’alloro e munita della lunga tromba dell’unione e della concordia, ed Eos dea del sole e della luce del mattino, depositaria della fiaccola della verità e della giustizia e con in testa un diadema di pietre preziose, entrambe impareggiabili ancelle di pace, laboriose amazzoni d’amore ed inscalfibili sacerdotesse/custodi del bene comune, stringono rispettivamente in mano una pigna d’uva e un rametto di olive: i più importanti e rinomati prodotti tipici della nostra terra.
Sulla sommità del dipinto, quasi appoggiata dolcemente sulle braccia delle due divinità femminili e sovrastata dalla maestosa corona della fede e della magnificenza, primeggia la stessa figura apotropaica presente nella parte alta della monumentale Fontana dello Steccato del 1713, contenente lo stemma municipale della Madonna col Bambinello (la Santa Patrona e Protettrice del paese) ed il classico barile in legno di castagno: simboli, emblemi e immagini che tratteggiano ed evidenziano le principali ed intrinseche caratteristiche della comunità barilese, fra storia, cultura, religiosità, mitologia, superstizioni e credenze popolari.
Un’opera particolarmente viva e coinvolgente che cattura cuore, mente e fantasia, fin quasi ad accarezzare l’anima nell’infondere a tutti e a ciascuno l’incantevole senso del bello e, benché spontanea e originale, sembra alternativamente richiamare la mistica pietà delle Madonne dipinte davanti alle chiese da uno schivo ed anonimo artista di strada, l’estrosa creatività di un meticoloso pittore di indelebili murales e, finanche, la sublime, preziosa e inimitabile tela di un genio del Rinascimento.
Una stupenda e raffinata meraviglia abilmente concepita ed amalgamata da Salvatore Malvasi in un magistrale intreccio di figure solenni, colori anticati e delicate sfumature cromatiche che, anche senza l’ammaliante canto delle sirene e l’imperioso ruggito dei leoni, suscita non solo un tripudio di sensazioni poetiche, oniriche e surreali, ma anche estemporanee ed idilliache visioni intimistiche, metaforiche e trascendentali. Uno splendido e magico affresco di vitalità ed emozioni, nonché di piacevolezza individuale e collettiva che in un fantastico ed irripetibile mosaico, mescola, abbraccia e riunisce arte, tradizione, sentimento e speranza.
Un sincero e doveroso ringraziamento va coralmente rivolto al prolifico, poliedrico e scrupoloso Smal ed ai suoi dodici operosi discepoli/collaboratori (Rosa Carnevale, Angela Caselle, Antonio Colangelo, Donato Danella, Antonello De Rosa, Gerardo De Rosa, Gerardo Di Noia, Enzo Mecca, Nicoletta Nigro, Saverio Sonnessa, Silvia Sonnessa e Michele Titaro), per aver regalato alla comunità barilese e all’intera collettività un’opera pittorica di grande pregio ed intensa comunicabilità che, insieme alla risorta antica Fontana del Palazzo, diventa orgogliosamente patrimonio comune a difesa e salvaguardia della memoria, dei valori e dell’identità di un territorio, di un’etnia, di un popolo”.