Ermanno è un parmigiano doc. Parmigiano fino alla punta dei capelli che non ha. Sulla sua testa, infatti, i capelli sono da molto tempo un autentico miraggio. Da alcuni anni mi dà prova eloquente della sua parmigianità nelle nostre frequenti e piacevoli chiacchierate, che da qualche mese purtroppo si sono interrotte a causa della maledetta pandemia. Da quando sono iniziate, oltre dieci anni fa, le nostre conversazioni non hanno mai avuto temi fissi o precostituiti. Si ama divagare fra sport, politica, letteratura e quisquilie varie. Lui abitualmente si compiace di sciorinare fatti e personaggi della sua città di cui si dichiara, com’è giusto che sia, orgoglioso e perdutamente innamorato. Io seguo i suoi racconti con curiosità e interesse.
E, devo riconoscere, con sempre maggiore profitto, da quando l’ho obbligato a rinunciare al suo dialetto, melodioso sì come il francese, ma astruso più che l’ostrogoto. Ho dovuto far ricorso alla proverbiale ostinazione lucana e alle minacce di fare uso, a mia volta, del non meno ostico dialetto stiglianese. Alla fine ci sono riuscito. Siamo arrivati a un onorevole compromesso: quando proprio non può fare a meno di parlare parmigiano, Ermanno è obbligato ad offrirmi sempre traduzioni quasi simultanee. Sono stati, in questo modo, superati equivoci e fraintendimenti, che nel passato erano risultati talvolta esilaranti, ma non di rado anche pericolosi.
Fatta questa lunga premessa, è giunto il momento di raccontare, fra i tanti, un episodio che mi pare meritevole di essere ricordato. Una mattina, Ermanno giunse nella tabaccheria dei miei figli, luogo abituale dei nostri incontri, e salutò tradendo una certa agitazione. Non perse tempo a invitarmi a uscire, perché intendeva fare una lunga chiacchierata “disintossicante”. Sentiva un urgente bisogno di distrarsi e di scacciare il malumore, mi disse. Preoccupato, mi affrettai ad assecondarlo. Mentre, sfogandosi, mi lui metteva al corrente delle indicibili noie provocate da alcuni indifferibili lavori condominiali, passò per caso Mario, che ci salutò con squisita gentilezza e ci augurò, come era solito fare, una serena giornata e ogni sorta di bene.
Mario è un barbone, calato non si sa da dove a piantare le tende in via Colli, nelle vicinanze del passaggio al livello. Nessuno sa nulla di lui, che mantiene sempre un comportamento riservato e discreto. Comunque, in poco tempo è riuscito a farsi accettare da tutti con i suoi modi affabili. E’ diventato parte integrante del quartiere, dove si aggira come una trottola dalla mattina alla sera. Senza meta e senza una ragione precisa. O, per meglio dire, per ragioni sue che nessuno conosce. Tutto ciò che gli serve per vivere è rinchiuso gelosamente in un inseparabile zainetto, da cui estrae ogni tanto una penna, un taccuino e un pacchetto di Camel gialle.
Ermanno, che è evidentemente ancora sotto l’effetto adrenalinico delle defatiganti riunioni condominiali, riflette a voce alta e afferma con convinzione che sono loro, cioè quelli come Mario, che hanno capito il senso vero della vita. Libertari e visionari, hanno avuto il coraggio di rompere le catene delle convenzioni sociali e di vivere una vita, che, se non è proprio felice, è almeno tranquilla e sgombra da assilli fastidiosi.
«Forse hai ragione. – gli rispondo con accondiscendenza, perché non mi sembra proprio il momento e il caso di contraddirlo – Non hanno nulla e sono padroni di tutto. Sono davvero liberi, perché sono padroni di se stessi e della loro vita. Sono forse loro i veri signori del mondo».
Incoraggiato dalle mie parole, Ermanno ad un tratto, mi chiede se ho mai sentito parlare di un personaggio, che i parmigiani chiamano “al màt Sicuri”. La mia risposta negativa disegna sul suo volto un moto di forte ma momentanea delusione. Subito si riprende e accende, con una sigaretta fuori programma, un inarrestabile monologo, sciorinando una doviziosa serie di informazioni sull’eccentrico suo concittadino. Ne rimango strabiliato e convengo che solo un popolo beffardo ma dal cuore grande come quello parmigiano poteva avvolgere in un caldo abbraccio, affettuoso e solidale, un simile personaggio.