Nicola Chiechi (primo a dx) con mons. Zerrillo
Nicola Chiechi (primo a dx) con mons. Zerrillo

Parma – Nei giorni scorsi ho ricevuto, con una dedica affettuosa dell’autrice Maria Chiechi Onorati, il libro di non recente pubblicazione “Padre Pio dal confessionale all’Altare” (Bastogi, Foggia, 2012, pp.161). Nel bel volume, articolato in dodici densi capitoli, una narrazione piana e avvincente squaderna la vita, irripetibile eppure esemplare, del Frate di Pietrelcina. Fu, come tutti sanno, una vita prodigiosa, segnata, a partire dalla nascita e fino all’apoteosi, da indicibili sofferenze ed estatiche visioni, che esaltarono gli straordinari carismi del religioso innalzato agli onori dell’altare.

Ma io non intendo qui dilungarmi più di tanto sui molti pregi del libro, che qualcuno potrebbe erroneamente ritenere una delle tante biografie, in cui nulla di nuovo si dice rispetto a quello che già si conosce. È risaputo, infatti, che su Padre Pio, e lo ricorda l’autrice stessa nella prefazione, «sono stati versati fiumi d’inchiostro, sia durante la sua vita, sia dopo la sua morte. Tutti ne hanno parlato: esponenti dell’arte e della cultura, uomini di scienza e di Chiesa, gente comune, miracolati nel corpo e nello spirito».

Riguardo all’opera, dunque, sarà sufficiente ricordare quanto scrive nella breve ma pregnante presentazione mons. Francesco Zerrillo, il quale tiene a sottolineare «la felice audacia dell’autrice nell’inserirsi nella vasta letteratura sul grande Santo del Gargano». E il presule, che fu Vescovo illuminato prima delle diocesi di Tricarico e poi di Lucera, ne spiega le ragioni, scrivendo che quella di Maria Chiechi Onorati è stata fatica meritoria «non tanto e non solo per le elevate intenzioni dell’autrice, ma anche e specialmente per la qualità del lavoro, per il calore che lo accompagna, per la forza persuasiva che lo pervade, per il peso della Grazia che lo arricchisce».

Ciò detto, a me preme soffermarmi su un brano inserito nell’ottavo capitolo e intitolato “Un episodio inedito”, che è dedicato a una personale esperienza di Nicola Chiechi. Confesso che la lettura di quelle poche pagine mi ha offerto non pochi spunti di riflessione e ha suscitato in me un’ondata di forti emozioni. Il protagonista, infatti, è una persona a me cara e familiare da quando, oltre mezzo secolo fa, fu ospite per circa cinque anni del piccolo albergo, che per la mia famiglia non solo fu fonte di sostentamento, ma si rivelò miniera inesauribile di preziose amicizie con persone straordinarie, che tuttora resistono all’usura del tempo e della lontananza.

Nicola, ancora giovanissimo, fu mandato a Stigliano a dirigere l’Ufficio per la riscossione delle imposte, meglio noto come “Dazio”, e vi si fermò dal 1965 al 1969. In quel breve periodo di smarrimento, dovuto al fatto di ritrovarsi in un ambiente, che di primo acchito gli parve chiuso e diffidente, trovò conforto in alcune persone conosciute nell’albergo, come il direttore didattico Agostino Ercolessi di Pesaro o il rappresentante di commercio Emilio Maccagni di Bari, con le quali instaurò relazioni amicali destinate a durare negli anni.

Cattolico praticante, impegnato a testimoniare concretamente nell’agire quotidiano i valori evangelici, non tardò poi a integrarsi nella comunità stiglianese grazie ai rapporti di amicizia sincera e profonda con molti sacerdoti, in particolare con don Paolo Scavone. Ma non mancò di entrare in familiarità con persone come Titta Lacetera, Antonio Cirillo, noto Pomarico, Salvatore Capalbi e tante altre, di cui ancora oggi conserva un vivo e affettuoso ricordo. Ed è superfluo aggiungere che stupendo fu il suo legame con la mia famiglia, provato dal fatto che ancora oggi nelle nostre frequenti conversazioni egli rinnova sentimenti di ammirazione per mio padre e mia madre e di grande affetto verso tanti miei parenti, che ebbe modo di conoscere e di frequentare durante la sua lunga permanenza a Stigliano.

A Stigliano, peraltro, Nicola poté presto prendere atto che vi era un forte e diffuso sentimento di venerazione per Padre Pio, l’umile frate di Pietrelcina, che dal 1916 visse nel convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo. E, se Don Paolo Scavone glielo additava come modello di santità, un medico veterinario gliene parlava affascinato, perché sosteneva che la sua vita, segnata da un passato molto discutibile, aveva avuto una svolta decisiva dopoché egli aveva incontrato il frate con le stimmate. Come molti anziani ancora ricordano e come si legge nel libro, dove per una svista è indicato con un cognome erroneo, il dottore Antonio Onorati parlava di Padre Pio «con tanto amore ed entusiasmo, da accendere, in chi lo ascoltava, il desiderio di correre a San Giovanni Rotondo».

Di tutto ciò non poteva non essere compiaciuto il giovane direttore del Dazio arrivato dal Gargano, perché egli stesso aveva vissuto una singolare esperienza personale. Nel maggio del 1965, infatti, partecipando a un viaggio al Convento di San Giovanni Rotondo, che era stato organizzato dai lavoratori operanti nel settore della riscossione delle imposte, gli era successo qualcosa di incredibile.

Ma lasciamo il racconto all’autrice del libro Maria Chiechi Onorati, che così scrive: «Quando [Padre Pio] fu vicino a Nicola, si fermò, lo fissò e gli porse la mano, avvolta dal solito mezzo guanto, dalla quale emanava un delicato profumo di rose e di viole, misto a quello del cloro. Nicola, emozionato, si inchinò per baciargliela. Fu allora che il Padre gli sussurrò: “Guagliò, c’i si mìs tant timp per venirmi a trovà!?”. Poi bisbigliò ancora: “Guagliò, mi raccomando prudenza, temperanza, preghiera e rosario; è difficile, ma non impossibile farsi Santi. Tu hai prescelto la strada piena di spine, quella forse più difficile rispetto a quella scelta da fra Marcellino, che volevi prendere ad esempio e seguire”. Nicola rimase perplesso e turbato: Padre Pio gli aveva ricordato un episodio di anni addietro, del quale non aveva mai fatto cenno ad alcuno».

Il “Guaglione” di Padre Pio è ora un distinto signore ultraottantenne, che vive con la sua bella famiglia a Lucera, dove si gode il meritato riposo dopo una lunga, intensa e gratificante attività professionale. E dalla cittadina dauna mi fa sentire assiduamente la sua affettuosa vicinanza, di cui gli sono grato, non disdegnando di navigare con serena nostalgia nel mare dei ricordi e degli affetti verso un paese ormai lontano anche nel tempo: Stigliano, appunto, il luogo dell’anima.