Matera – A luglio del 2020, in una lettera aperta inviata ai giornali, già affrontavo nel merito a quello che stava per succedere a murgia Timone. Vorrei partire proprio da quell’intervento che qui sintetizzo per poi avanzare alcune riflessioni.
“Li chiamano “ladri di storia”, predoni di paesaggi fragili, di patrimoni artistici e di ambienti naturali. Da tempo i territori del Sud sono stati e sono oggetto di traffici illegali di materiali della storia. Anche nei Sassi e nella murgia prospiciente i ladri di storia hanno agito e operato indisturbati da decenni.
La professoressa Pina Belli D’Elia (storica dell’arte) in un intervento di qualche anno fa sulla Gazzetta del Mezzogiorno spiegava con efficacia la forza attrattiva dei nostri paesaggi. “Eppure – diceva Belli D’Elia – questo era, e potrebbe essere ancora, uno dei più rilevanti punti di forza per un turismo di qualità: una terra che offre, sì, castelli e cattedrali, ma inseriti ancora in un contesto ambientale che conferisce a quelle emergenze monumentali il massimo del loro senso (…).
Ma ai nostri paesaggi si può chiedere di più, perché di più sono in grado di offrire, soprattutto in termini di conoscenza”. La professoressa Belli ricorda che negli ultimi anni la devastazione del nostro paesaggio è stata evitata solo dove l’opinione pubblica si è dimostrata più sensibile e attenta nei confronti del proprio patrimonio culturale (…). Spesso a vestire i panni di predatori sono state proprio le pubbliche amministrazioni con i loro “progetti di valorizzazione”, finanche quelle istituzioni nate per difendere, tutelare e conservare il nostro patrimonio culturale.
La lettera si concludeva con un invito ad esercitare la massima attenzione durante tutte le fasi di lavoro. La murgia materana, nonostante tutti i cambiamenti, continua a narrare in modo profondo e denso la storia di questo territorio. La conservazione e la salvaguardia di questo paesaggio fragile è un dovere morale oltre che una prescrizione normativa.
A distanza di nove mesi quello che ci si augurava che non accadesse alla fine è accaduto. Il confronto con la città non c’è stato e il progetto è stato realizzato, grosso modo, così come era stato proposto. I sentieri di accesso alle chiese rupestri Madonna delle Tre Porte e San Falcione sono stati trasformati in tratturi, è stata realizzata una lunga passerella all’interno del villaggio neolitico; sono state installate pensiline e osservatori difficili da giustificare con i temi della conservazione del paesaggio; sull’estradosso delle chiese sono stati posizionati massi monolitici.
Nonostante la Regione Basilicata ha espresso parere negativo, sono stati elettrificati tutti i complessi rupestri e lo stesso villaggio neolitico. La realizzazione della pavimentazione delle chiese con il cosiddetto “cocciopesto” rappresenta una vera e propria “novità”, soprattutto se paragonata ai restauri delle chiese rupestri del circuito urbano curati dall’ingegnere Gregorio Padula e dall’architetto Renato Baldoni. Diverso lo stile, diversa la sensibilità.
Esiste una soluzione possibile, praticabile? Sì, se la città e i suoi rappresentanti lavorano tutti insieme. Sì, se il Consiglio Comunale, la massima espressione della volontà popolare, adottasse all’unanimità una delibera d’indirizzo attraverso un ordine del giorno proposto dallo stesso primo cittadino, con cui notificare il nuovo indirizzo al Responsabile del Procedimento (dirigente ai lavori pubblici/urbanistica) il quale si dovrà fare carico di informare il Direttore dei Lavori di Invitalia del nuovo indirizzo assunto della COMMITTENZA ovvero la rimozione ti tutte quelle opere che si sono rivelate di forte impatto paesaggistico.
Trattandosi di opere “proposte” da Invitalia, “fatte proprie” dalla passata amministrazione e autorizzate, secondo i loro codici, dall’Ente Parco e dalla Soprintendenza, per la rimozione sarà necessario far ricorso alle “somme a disposizione” dell’appalto. Quelle somme indicate nel quadro economico dell’intervento (una voce di costo possono essere gli imprevisti) e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta.
Si è parlato in questi mesi delle norme di tutela che insistono sul prospiciente altopiano murgico e di come queste vengono di volta in volta interpretate. Oggi è più che mai necessario e opportuno che le Istituzioni tutte chiariscano il significato dei seguenti articoli :
1) Art. 5 NTA– Zona di riserva integrale “dove l’ambiente va conservato e ricostruito nella sua integrità” dove “non è consentito qualsiasi genere di costruzione che comporti modifiche all’aspetto del terreno e della vegetazione“ e dove “sono consentiti solo interventi di mantenimento e restauro”;
2) Art. 10 e 12 NTA – Trasformazioni edilizie consentite per le aree archeologiche dove si sancisce la conservazione integrale dei siti allo stato attuale;
3) Art. 49 NTA – dove per i solo sentieri di discesa nell’alveo dei valloni è consentito, esclusivamente nei tratti strapiombanti, realizzare parapetti in muretto a secco o corrimani in ferro. Dove per l’attraversamento dei torrenti potrà avvenire sistemando guadi con materiale lapideo esistente nel torrente stesso, o con piccole passerelle pedonali.
4) Art. 57 –58 NTA – dove si ribadisce che gli elementi arealidi rilevanza paesaggistica ed ambientale e puntuali di valore eccezionale dovranno conservare inalterate le loro caratteristiche costitutive e percettive;
5) Art. 66 NTA – dove si ribadisce che è vietata l’asportazione o alterazione delle cotica erbosa e dello strato superficiale;
6) Art. 3 – Divieti Norme di Gestione – dove si dichiara che è vietato l’introduzione e l’impiego di qualsiasi mezzo atto a alterare i cicli geologici;
7) Art. 7 – Tutela delle bellezze naturali e delle formazioni geologiche e paleontologiche, dove si asserisce che è vietato manomettere o comunque alterare le cose dichiarate di notevole interesse naturalistico, geologico e paleontologico;
Michele Morelli
presidente della Fondazione Sassi