Stigliano – Dopo Matera e Grassano, Aliano è stata la terza tappa dell’intenso tour di Renaud Cohen, il cineasta francese giunto il 20 luglio in Lucania-Basilicata per realizzare un documentario su Carlo Levi. Il docufilm è destinato ad una Tv franco-tedesca per una serie televisiva di grande successo, “Visitations en voyage”, che mira a scoprire e a valorizzare, diffondendone la conoscenza, luoghi fisici e ambienti umani, che hanno ispirato importanti opere letterarie europee.
Ammaliato dal film di Franco Rosi prima e poi dalla lettura del libro “Cristo si è fermato a Eboli”, il regista parigino ha voluto, pertanto, visitare i luoghi legati alla triste esperienza del confino di Carlo Levi, per catturare attraverso molte riprese esterne e lunghe interviste i colori e il calore di una terra alla quale l’artista torinese rimase legato per tutta la vita. Fino a essere alla fine, lui torinese di nascita e di formazione, più lucano di tutti i lucani e a diventare lo strenuo difensore e l’appassionato cantore dell’intero Mezzogiorno d’Italia e delle tante Lucanie sparse nel mondo.
Nato nel 1964, Cohen si diplomò nel 1992 a “La Fémis”, la Scuola Nazionale Superiore del Cinema in Francia, che è considerata una delle più prestigiose al mondo. Ha realizzato negli anni molti cortometraggi, a partire dal primo, “Réflexions d’un garçon”, una fiction che gli valse il Premio speciale per giovani registi al Festival di Seine-Saint Denis. È autore, inoltre, di molti e importanti documentari, di cui qui si ricorda l’ultimo in ordine di tempo, “Benvenuti al villaggio modello”, che ha ricevuto il Premio del Pubblico al Festival di Ginevra.
Nel 2001 Cohen realizzò il suo primo lungometraggio, “Quand on sera grand”, che fu molto apprezzato e meritò molti riconoscimenti. Nel 2012, invece, Cohen è stato regista produttore ed attore di un altro importante film, “Au cas où je n’aurais pas la palme d’ore”, che in Francia ha riscosso un notevole e meritato successo di critica e di pubblico. Ma un lavoro, cui lo stesso autore, profondo conoscitore della lingua e della cultura cinese da oltre un quarto di secolo, tiene molto è “Les chinois et moi”, del 2019. Si tratta di un documentario di 72 minuti, in cui l’autore racconta la storia di due famiglie cinesi, composte da 45 persone che, provenienti dalla città di Wenzhon e giunte a Marsiglia, imparano progressivamente a integrarsi con la comunità locale nel rispetto delle diverse identità culturali.
È un’avvincente narrazione, sensibile e burlesca, che rivela lo stile accattivante di un regista qual è Cohen, che considera suoi modelli artistici ideali Woody Allen, Nanni Moretti e Charlie Chaplin.
L’attenzione che ora Renaud Cohen manifesta per l’opera leviana e, tramite essa, per la Lucania-Basilicata, della quale dice di essere rimasto incantato, è una eloquente testimonianza della necessità di recuperare alcuni valori essenziali della cultura contadina, spazzati via dal convulso e scriteriato passaggio alla modernità e dalla sempre più arrogante affermazione della globalizzazione. Che, fra l’altro, hanno provocato il fenomeno letale di un inurbamento selvaggio e dell’abbandono di quei piccoli borghi, dove solo era, e forse è ancora possibile, un’esistenza a misura d’uomo.