Parma – Si è presentata con qualche giorno di ritardo l’amata arzilla vecchietta che ama viaggiare di notte su una scopa. Forse conservava ancora l’indirizzo di quando, ancora bambino, l’aspettavo nella casa della “Villa”; o magari si è fermata altrove a causa del coprifuoco o dei tanti divieti di circolazione imposti dalla pandemia. Per fortuna, comunque, finalmente è arrivata e si è fatta perdonare, portando un bel numero di vari e pregevoli volumi ancora freschi di stampa.
Tra questi molto gradita è risultata una ricca e preziosa silloge di poesie, che mi ha particolarmente toccato, essendo l’autore a me familiare fin da quando, io adulto, egli era ancora un bambino alla “Villa”. Di lui ho potuto poi apprezzare le qualità umane e le doti professionali nel corso degli anni.
Voglio dire di Nicola Fornabaio, nato a Stigliano nel 1972, che ha pubblicato poco prima di Natale una nutrita serie di poesie, già condivise negli ultimi mesi su facebook e poi ritoccate e raccolte nel libro “Simmetrie esistenziali” (Eretica, Buccino, SA, pp. 110, € 14).
Si tratta di cento componimenti, in versi sciolti e per la maggior parte brevi, che vertono su due nuclei tematici essenziali, l’esplorazione curiosa e trepida del paesaggio interiore e un dialogo assiduo e intenso con il mondo e con la natura. Intorno a questi due nuclei ruotano una teoria di temi collaterali, che toccano la vita dell’autore e di ciascuno di noi: il senso della vita e della morte, il bene e il male, il dolore e la felicità.
Alcune poesie, come “Ringraziamo ogni tanto” o “Abbracciare gli alberi”, hanno una chiara finalità parenetica ed esortano a vivere la vita empaticamente, in sintonia con se stessi, con gli altri, con la natura. Nella consapevolezza che anche la felicità, cui ogni persona aspira e che spesso inutilmente ci si affanna ad inseguire, può essere serenamente raggiunta se la si sa cogliere in «Un sorriso / una mano stretta / lo zucchero / sul fondo del bicchiere» (Felicità perfetta).
Le poesie di “Simmetrie esistenziali” riverberano, come è naturale che sia, non solo la rara sensibilità del poeta, sì anche la sua visione della vita, scaturente da concrete esperienze personali, da una formazione filosofica, da una preziosa ricchezza spirituale.
È doveroso, a tale proposito, sottolineare che nel percorso esistenziale di Nicola Fornabaio un ruolo importante ha avuto l’esperienza di emigrante, prima in Lombardia poi nei Castelli Romani, dopo aver vissuto e operato come insegnante per alcuni anni in Lucania-Basilicata.
Egli, come la gran parte di coloro che sono stati condannati a partire, non ha mai rescisso il legame con la sua terra e indulge spesso alla nostalgia, che finisce per disegnare in lui «strane geometrie esistenziali».
Gli capita, pertanto, di perdersi «…spesso / nei luoghi della mente / dove sono custoditi / i ricordi più cari» (Mi perdo spesso), o magari di rievocare, con i primi anni di insegnamento, «… un piccolo paese lucano / con meno di mille abitanti / e ringraziarli perché sopravvivono, da anni, / alla quarantena inflitta dalla ferita dell’emigrazione».
Né manca di custodire gelosamente come una reliquia il ricordo di «sedersi sulla panchina di una piazza / mangiare pane ancora caldo / e ricotta fresca che che sa di latte appena munto / bere un bicchiere di vino rosso / accarezzare un cane e una formica …» (Spropositi per la normalità).
Finisce così per inebriarsi nel «Riandare nei luoghi / mille volte attraversati, / da bambino», sicché il paese natale diventa «viaggio interiore» e serve a «leggere la traiettoria dell’esistenza» (Coordinate inattese).
I versi, che si è scelto di proporre qui, bastano a testimoniare in tutta evidenza che al poeta risulta impossibile rescindere il cordone ombelicale con la terra di origine. Ma, come annota con acutezza Pancrazio Toscano nella sua breve ma succosa nota introduttiva, a chi è impregnato di cultura contadina, «fin dalla nascita viene assegnato per confine il mondo ed è quindi naturale praticare un’interpretazione del vivere che “la mia patria è dove l’erba trema”…», come cantava Rocco Scotellaro.
Nicola, per fortuna, riesce a sfuggire alla triste condizione esistenziale in cui si riconobbe Gustav Mahler, il grande musicista e direttore di orchestra nato nella Repubblica ceca e vissuto poi in Austria e in Germania, il quale sentiva di essere “tre volte senza patria: un boemo tra gli austriaci, un austriaco tra i tedeschi e un ebreo tra i popoli di tutto il mondo”.
Nicola, invece, vive da cittadino del mondo e tale dimensione traspare con insistenza, quando poeticamente dichiara la sua consentaneità con il prossimo e con la natura. Come si evidenzia, ad esempio, nelle belle liriche “Abbracciare gli alberi” o “La vita è dono”. Allora accade che, dopo una ricerca tormentata, l’essenza della vita si rivela così, con commovente semplicità, «… nella lacrima / sul volto / di un bimbo che piange / in un filo d’erba / che riaffiora / dai brandelli / di una natura violata» (Il mio cruccio).
Ma, come si accennava all’inizio, la poetica di “Simmetrie esistenziali” si fonda anche su un continuo scandaglio del mondo interiore. In tal caso l’autore trasmette pensieri, emozioni, sogni con immagini di notevole fattura attraverso un verseggiare, che talora risulta fratto e caratterizzato da frequenti ellissi verbali, talaltra diventa discorsivo e si trasforma in prosa poetica, riverberando non dissimulate assonanze scotellariane.
Come, ad esempio, quando implora: «Soffiatemi dentro / un alito gravido / di fiori e sogni / appena sbocciati. // Soffiatemi dentro / il miracolo semplice / di una parola / e una carezza / sussurrate» (Soffiatemi dentro).
O quando, invece, inorridito dalle letali distorsioni del nostro guasto mondo postmoderno e globalizzato, in cui molti non si accorgono di vivere sazi e disperati invoca con voce accorata: «Ritorniamo ad abitare i paesi / e gli anziani. / Metteranno i panni buoni della festa / e ammazzeranno l’agnello grasso. // Ritorniamo ad abitare i paesi / come le rondini sui tetti abbandonati» (Ritorniamo ad abitare i paesi).
In conclusione, in questa sua opera di esordio Nicola Fornabaio narra con felice vena poetica l’intricata complessità dell’umana esistenza, che nella sua eterna epifania mai smette di interpellarci come persone e di invitarci a un impegno etico e civile. Le persone, infatti, non valgono di per se stesse e non possono rinunciare a donarsi reciprocamente. Anzi, la vita si riempie di senso, solo se ciascuno di noi, come il Poeta, sa riconoscersi “docile fibra dell’universo”.