Nell’analisi della complessa e triste realtà lucana negli anni Trenta del ‘900, Carlo Levi mette in risalto, tra le molteplici concause, la drammatica situazione igienico-sanitaria che affliggeva la regione. Nel “Cristo si è fermato a Eboli” esemplare è, a tale riguardo, la cruda descrizione della vita di circa ventimila materani, che nei Sassi, in promiscuità, abitavano tuguri resi malsani dalla mancanza di luce e di aria.
Il racconto è affidato dall’autore alla sorella Luisa, psichiatra, la quale osserva con grande turbamento quello spaventevole spaccato di vita meridionale durante una breve sosta del viaggio che la porta ad Aliano, per salutare il fratello da poco confinato: «Dentro quei buchi neri, dalle pareti di terra, vedevo i letti, le misere suppellettili, i cenci stesi. Sul pavimento stavano sdraiati i cani, le pecore, le capre, i maiali».
Ma ciò che più sgomenta la visitatrice arrivata dal profondo Nord è lo spettacolo raccapricciante di una turba innumerevole di bambini segnati vistosamente dalla miseria e dalla malattia. Alcuni appaiono d’improvviso mentre si rincorrono e sbucano da ogni parte, completamente nudi o solo ricoperti di poveri stracci, nel «caldo, in mezzo alle mosche, nella polvere».
Altri, invece, se ne stavano tranquillamente «seduti sull’uscio delle case, nella sporcizia, al sole che scottava, con gli occhi semichiusi e le palpebre rosse e gonfie; e le mosche gli si posavano sugli occhi, e quelli stavano immobili, e non le scacciavano neppure con le mani. Sì le mosche gli passeggiavano sugli occhi, e quelli pareva non le sentissero. Era il tracoma».
La veristica descrizione, delineata con grande maestria nel “Cristo”, induce a immaginare che i materani dei Sassi vivano in una condizione non meno terrificante di quella dei dannati nei diversi gironi dell’Inferno dantesco. Le pagine leviane sono segnate dalla presenza inquietante di un doloroso pezzo di vita reale, che è sintomatica della generale drammatica situazione del Mezzogiorno a 75 anni dall’Unità d’Italia.
Non è un caso fortuito che queste pagine molto contribuirono ad accendere e a tenere viva l’attenzione su Matera e sulla questione meridionale negli anni immediatamente successivi alla conclusione della guerra. E non stupisce il fatto che esse offrirono prima un valido supporto alla richiesta di risanamento e conservazione dei Sassi e poi nel 1993 al loro riconoscimento di patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’UNESCO.
