Parma – Sono già trascorsi dieci anni dalla sua scomparsa, eppure sembra ieri. Anzi, si ha la sensazione che non sia proprio avvenuta. La sua figura luminosa di intellettuale e sacerdote esemplare, infatti, continua idealmente a vivere nella mente e nel cuore di chi in vita lo conobbe e lo amò. E continua a confortare con la parola e con l’esempio, ispirati da autentica carità cristiana, le fragili esistenze di chi oggi è più che mai insidiato da mali antichi e nuovi.
Sto dicendo di padre Giuseppe De Rosa, morto a Roma il 21 marzo 2011, di cui ricorre anche il centenario della nascita, avvenuta il 23 gennaio 1921 a Gorgoglione, piccolo paese lucano della tormentata montagna materana.
Di umili origini, essendo il padre Francesco un modesto contadino, il piccolo Giuseppe, dopo aver frequentato le scuole elementari, per la penuria di mezzi della famiglia e per la mancanza di scuole nel paese, era destinato a interrompere gli studi. Ma, avendo dato ottima prova di sé, non fu difficile a don Ciccio Maiorano, il suo maestro, convincere il padre e la madre, Maria Viola, a lasciarlo partire. Così, per interessamento del parroco don Gioacchino Leone, nel 1932 egli si ritrovò nella Scuola Apostolica di Vico Equense.
Dopo il lungo e impegnativo percorso di studi compiuto fra Messina, Milano e Napoli, si laureò in storia e filosofia e intraprese gli studi teologia, prima nella Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale a Posillipo e poi a Louvain-Eegenhoven, in Belgio. Terminata la formazione teologica, nel 1950 fu ordinato sacerdote e dopo quattro anni entrò a far parte definitivamente della Compagnia di Gesù.
Si apre allora, davanti a padre De Rosa, un faticoso ma esaltante cammino di servizio e di apostolato: è Rettore della Scuola Apostolica di Vico Equense, che l’aveva già visto studente, e del rinomato collegio “Argento” di Lecce, prima di trasferirsi a Napoli. Dopo il trasferimento a Roma, nel 1959 inizia la lunghissima e intensa collaborazione alla prestigiosa rivista “La Civiltà Cattolica”, che durerà ufficialmente per trentacinque anni, ma si protrarrà in effetti fino alla morte, avvenuta, dopo una breve malattia, nella residenza romana di San Pietro Canisio.
Come redattore e notista politico della storica rivista dei Gesuiti padre De Rosa non solo raccontò con grande puntualità gli eventi della politica nazionale, ma li analizzò con lucidità, rigore e ricchezza di argomentazioni. I suoi commenti e i suoi editoriali, pertanto, acquistarono ben presto una indiscutibile autorevolezza e per moltissimi anni furono universalmente apprezzati e anche … temuti. Essi costituiscono oggi una miniera inesauribile di informazioni e di riflessioni utili a ripercorrere e a comprendere almeno cinquanta anni della storia politica, sociale, culturale italiana e, di riflesso, internazionale.
Ma il dotto gesuita lucano, oltre che di politica, non mancò di occuparsi e di scrivere su molti temi di carattere teologico, religioso, sociale e culturale, che riprese e trattò in modo approfondito in oltre quaranta saggi.
Di gran parte di questa lussureggiante produzione saggistica venni a conoscenza dopo la scomparsa di padre De Rosa e ne rimasi stupefatto e ammirato. Ero stato sollecitato a occuparmene da care persone, che a lui erano legate da affetto sincero e grande devozione. Superate le iniziali perplessità, alla fine decisi di assumere l’oneroso impegno di tracciare un profilo del gesuita lucano in un saggio biografico, “Storia di un’Anima – Giuseppe De Rosa sacerdote, giornalista e scrittore”. Lo feci, confortato anche dalle parole di incoraggiamento di padre GianPaolo Salvini, già direttore della storica rivista “La Civiltà Cattolica”, che acconsentì a scrivere la prefazione.
Ora, nella duplice ricorrenza del decennale della morte e del centenario della nascita, ho avvertito il bisogno di commemorare padre De Rosa, che nella lunga parabola della sua vita terrena si distinse, oltre che per le sue doti culturali, per la straordinaria umiltà e la profonda spiritualità. E con la testimonianza della sua fede esemplare dimostrò, come acutamente scrisse padre Salvini, che «si può fare Storia, anche seduti a una scrivania e inginocchiati in cappella».
In un tempo in cui molta gente, distratta da mille occupazioni, tende facilmente a dimenticare fatti e persone pur meritevoli di attenzione, le mie brevi e lacunose note possano offrire un piccolo contributo a tenere viva la memoria del gesuita di Gorgoglione e del suo lungo e illuminato magistero.