A Stigliano nel corso degli anni si è trasmesso oralmente e si è pian piano creato un ricco florilegio di ricordi, mai spenti, e di aneddoti, spesso divertenti, su coloro che via via hanno avuto l’onore e l’onere di essere alla guida del paese. Sono davvero tanti, perché quella del sindaco è una figura storica, che risale al periodo preunitario.Vale la pena di ricordare che tra il 1826 e il 1861 l’Amministrazione di un Comune era affidata a un Sindaco e a un gruppo di 10 amministratori, che erano chiamati decurioni fin dai tempi dell’età comunale. Dal 21 marzo 1861, quando fu proclamato il Regno d’Italia, in base all’articolo 33 della legge del 17 dicembre dell’anno precedente entrarono in funzione nell’Amministrazione dei Comuni una Giunta, un Consiglio e il Sindaco, che veniva scelto fra i consiglieri comunali e nominato con Regio Decreto.
Tali figure istituzionali decaddero durante il fascismo, quando, dal 3 aprile 1927 al 4 novembre1943, la guida dei Comuni fu affidata ai Podestà, che, come è noto, non erano eletti dal popolo, ma nominati dai Prefetti. I Sindaci e i Consigli Comunali, scelti con libere elezioni, tornarono in vita dal 1946, dopo la caduta della dittatura fascista e l’avvento della democrazia repubblicana. A Stigliano dopo la fine della guerra il primo sindaco fu Luigi Ciruzzi, che mantenne la carica per pochi mesi, dal 5 febbraio 1946 al 31 luglio 1946. Gli succedette un insegnante elementare, Pietro Rizzo, il quale guidò per due mandati una giunta frontista, ossia socialcomunista, ininterrottamente per un decennio, dall’inizio di agosto 1946 al 6 giugno 1956. Dopo un’interruzione di quattro anni, egli sarà rieletto e diventerà sindaco per la terza volta fino al 1965.
Pietro Rizzo era da tutti chiamato rispettosamente don Franco, che era il suo secondo nome, preceduto doverosamente dal “don”. Con questo titolo, che toccava ai galantuomini, furono indicati, perciò, anche tutti i suoi predecessori e successori, perlopiù maestri di scuola elementare, almeno fino agli anni Settanta. Don Franco fu a capo dell’Amministrazione Comunale in un periodo molto complesso, difficile e contraddittorio della storia stiglianese. Dopo la fine della guerra e per tutti gli anni Cinquanta, infatti, il paese mostrava da un lato una certa vitalità nel campo dell’artigianato e delle piccole attività commerciali, dall’altro era assillato da una enorme mole di questioni sociali ed economiche, aggravate dalle macerie materiali e morali lasciate dal disastro del lungo conflitto mondiale e del fascismo.
Primo fra tutti era evidentemente il problema della disoccupazione, che tormentava molte centinaia di braccianti agricoli e faceva lievitare l’indigenza e la miseria di molta parte dei circa diecimila abitanti. Non più che un pannicello caldo si rivelarono provvedimenti quali l’ingaggio obbligatorio imposto per legge ai proprietari e l’assegnazione delle quote ai contadini dopo l’esproprio delle terre ai latifondisti e l’avvio della Riforma Fondiaria. Grave era la crisi sociale e tanti furono gli scioperi, che in quegli anni burrascosi fecero riversare in piazza, a Stigliano come in tanti altri paesi lucani, migliaia di contadini, di braccianti e di operai esasperati dalla mancanza di lavoro. In tale contesto sociale, esplosivo e difficile da governare, il sindaco Rizzo seppe muoversi con straordinaria abilità, mostrando doti diplomatiche non comuni, che gli furono riconosciute anche dai suoi avversari politici.
Seppe superare alcuni gravi momenti di massima tensione, quando Stigliano fu “occupata” dalla polizia inviata in soccorso dei locali carabinieri per mantenere l’ordine pubblico. Con la scaltrezza degna di un consumato giocatore di poker, quale in effetti era, si destreggiò astutamente in una impossibile opera di mediazione tra i signori proprietari, sempre più preoccupati di perdere tutto, e le masse, che ormai erano disposte a tutto, perché il bisogno li aveva spinti oltre ogni limite d’esasperazione e di sopportazione.