S.Arcangelo (PZ) – Già in epoca romana si designava con il nome di pestis pestilenzia qualunque malattia contagiosa e si conosceva già la peste bubbonica e polmonare.La superficie del corpo del “pestoso” non soffriva di febbre elevata ma su tutto il corpo comparivano ulcerazion rossastre simili ad ustioni generiche tumescenze, bitorzoli o rigonfiamenti della pelle che presentavano le caratteristiche tipiche del bubbone. Il Bubbone è il termine con il quale, in presenza di peste, si indicava il rigonfiamento cutaneo generalmente edematoso e tumefatto, nettamente protruso all’infuori e dai contorni arrotondati e dal contenuto, spesso purulento, che si manifestava in corrispondenza di un linfonodo infiammato, generalmente all’inguine, alle ascelle o al collo. La patologia che portavano un bubbone a manifestarsi era, la peste bubbonica.
Arcangelo Molfese di Santo Arcangelo, piccolo paese della Basilicata, laureato Dottore in Chirurgia nel 1584 alla SCUOLA MEDICA SALERNITANA, ebbe a prendersi cura di questa malattia che in un paese così piccolo causò centinaia di morti. Un fiore all’occhiello, fu la SCUOLA MEDICA SALERNITANA, prima scuola di medicina nel mondo, che ha lasciato tanti insegnamenti utili a far sorgere università in differenti parti dell’Italia ed inoltre ha dato lustro alla nazione. Il ponderoso bagaglio scientifico era dato dalla esperienza maturata nella quotidiana attività di assistenza ai malati, dopo approfonditi studi della materia. La peste era trasmessa dalle pulci ospiti dei topi, che numerosi vivevano a contatto dell’uomo e quanto maggiore era la sporcizia più frequente era la peste. Il corpo giaceva inerte mentre la medicina non sapeva cosa fare.
Sintomi più gravi si manifestavano con respirazione affannosa e molto lenta, comparivano i bubboni pestilenziali molti ulcerati precocemente, specie all’inguine ed in tutte le parti dove erano presenti ghiandole linfatiche. La cura consisteva nella cauterizzazione dei bubboni e nelle preghiere, in quanto non vi erano medicine idonee Nel giro di 7 giorni il malato spesso andava incontro a morte. I flagelli, che spopolarono tra il 1500/1700 il Regno di Napoli furono la peste e le eruzioni del Vesuvio. La peste, che già nel 1500 aveva causato morti, nel 1647 introdotta da un veliero proveniente dalla Sardegna, causò 250.000 decessi nella città di Napoli ed oltre 600’000 in tutto il regno. Il propagarsi del male fu favorito dalle pessime condizioni in cui versavano le popolazioni denutrite. Le precarie condizioni igieniche, unite all’elevato numero di animali, contribuirono enormemente alla diffusione del contagio. Le pulci ed i ratti malati favorivano la trasmissione dell’epidemia.
La malattia si presentava con ascessi sul corpo, febbre continua ed emissione di sangue dalla bocca. Adottare rimedi contro di essa e contromisure risultò assai difficile, peraltro non garantivano l’immunità dal morbo. Alimentazione sufficiente e difesa dal freddo e dall’umido erano i consigli generali, oltre quello di profumare la casa e gli abiti ,masticare erbe ,bagnarsi con aceto,utilizzare spezie, conversare l’uno lontano dall’altro e, una volta purificato così il corpo, allontanarsi da amici e parenti affetti da peste, evitando di cadere nella malinconia.
Nei piccoli paesi come era Santo Arcangelo, nonostante la ricerca sugli atti di morte reperiti, non è segnato il numero di decessi, che per essere elevato non potevano essere registrati. Solo le prime morti e solo alcune vengono riportate. Dati statistici dell’epoca non sono stati reperiti, ma fu tanto l’impatto della epidemia sulla la popolazione che per seppellire tutti i morti fu usato un luogo chiamato Valle di Peste, una valle alle pendici del paese, dove furono inumati i morti, dal momento che solo nel 1800 sorsero i camposanti, luoghi dove si seppellivano i defunti fino ad allora sepolti nelle chiese.