Rassegna critica
Giova ancora una volta ribadire che grande ed unanime fu, dentro e fuori l’ambiente accademico, la considerazione dei critici, i quali nel corso degli anni espressero giudizi lusinghieri sulle opere di Cilento per la rara e raffinata competenza filologica, la profondità di pensiero, la cristallina chiarezza e la solennità classica della scrittura che le connotava.
L’importanza delle opere cilentane, peraltro, è attestata da due dettagli davvero non trascurabili, che meritano di essere richiamati e sottolineati. Si vuol dire del successo riscosso dalla “Antologia plotiniana”, che dopo la pubblicazione nella “Piccola Biblioteca Filosofica” di Laterza nel 1955 conobbe ben sei edizioni, l’ultima delle quali ben sedici anni dopo la prima uscita. Altrettanto rilevante è la ripubblicazione del volume sulle opere plutarchee “Iside e Osiride e dialoghi delfici”, inserito nel 2008 dalla Bompiani nella bella collana dei classici curata da Giovanni Reale. Insomma, le ripetute riedizioni inducono ad assegnare ad alcune opere cilentane lo stigma di veri e propri classici, che ancora oggi si rivelano imprescindibili per chi intenda conoscere il pensiero greco antico.
Ne fu consapevole Fausto Nicolini (Napoli, 1879 – 1965), sodale di Benedetto Croce ed eminente studioso di Giambattista Vico, che non mancò di esaltare il valoroso contributo dato da Cilento al progresso degli studi plotiniani con la traduzione delle “Enneadi”. Egli espresse un giudizio entusiastico per «i quattro monumentali volumi nei quali, prima di giungere ai cinquant’anni, un filosofo-filologo vivente a Napoli, cioè il barnabita Vincenzo Cilento, dette una […] classica traduzione italiana amplissimamente commentata delle “Enneadi”, di quel più difficile tra i filosofi antichi che è Plotino. Quattro volumi, costati dieci anni di diuturna tenacissima fatica, non intermessa per un momento solo, nemmeno nei tempi angosciosi in cui su questa mia Napoli disgraziata […] piovevano ininterrottamente bombe nemiche».i
Lo stesso Nicolini, a sostegno delle sue considerazioni riportò l’autorevole opinione di Paul Henry e Hans-Rudolf Schwizer, due fra i maggiori studiosi europei del pensiero di Plotino, che, salutando con entusiasmo la pubblicazione della traduzione cilentana delle “Enneadi”, avevano scritto testualmente: «De textu interpetrando saepe nos desperaturos fuisse confitemur, nisi Ficinus, Harder, Cilento, sagacissimi interpetres, nos iterum atque iterum ex inscitiae caligine eripuissent. (Confessiamo che per l’interpetrazione del testo delle Enneadi spesso saremmo caduti nella disperazione, se Ficino, Harder, Cilento non ci avessero più volte liberati dalla nebbia dell’incertezza)».
Non si può fare a meno, poi, di ricordare la commossa testimonianza di Lidia Storoni Mazzolani (Roma, 1911 – 2006), la nota storica e scrittrice che godeva dell’alta considerazione di Padre Vincenzo e che non pochi pronosticavano gli sarebbe succeduta sulla Cattedra all’Università di Napoli. Subito dopo aver appreso la notizia della scomparsa del barnabita, per il quale nutriva sentimenti di autentica venerazione, così ella scriveva alla sorella Margherita Cilento:
«[…] Ora che ho sotto gli occhi la Sua “cara immagine paterna” e i Suoi versi nobilissimi vorrei esprimere tutta l’ammirazione e la devozione che provavo per Lui. E soprattutto la gratitudine: poiché mi resi conto che s’era accorto di me e dei miei studi ascosi, quando lessi la Sua introduzione al volume del Cochrane, nella quale scrisse parole di consenso a un mio volumetto, “Sul mare della vita”, che era uscito recentemente; e poi ebbe la cortesia di presentare un mio lavoro successivo, “L’Impero senza fine” (1972) con una conferenza […] E perciò la perdita, che sarebbe già gravissima sul piano culturale, mi è doppiamente dolorosa perché so di aver perso un amico».ii
Da Aniello Montano fu osservato molto opportunamente che «nella cultura della Grecia antica Cilento individua gli elementi fondamentali ed essenziali della razionalità occidentale, i miti e le figure che ne rivelano la struttura profonda e che, ripresi da altri autori in altre epoche, riconfermano il loro significato profondo, pur emanando riflessi diversi».iii Ed Emma Del Basso, che di Cilento fu allieva e collaboratrice cordialmente stimata, sottolinea a sua volta che il Maestro «nella sua multiforme opera scientifica […] seppe fissare, in sintonia con lo spirito dei più grandi pensatori del passato, concezioni storiche, tematiche religiose, concetti filosofici basilari, trascendenti l’impermanente fluire del tempo e la caducità degli umani eventi».iv
Degna di citazione è, inoltre, la testimonianza di Marisa Tortorelli Ghidini che considera Cilento un «interpetre e traduttore insuperato delle Enneadi di Plotino». Docente ordinaria di Storia delle religioni all’Università Federico II di Napoli, pur ella lucana e molto legata al padre barnabita stiglianese, ricordando l’amicizia fraterna di questi con Giovanni Pugliese Carratelli e il sodalizio dei due con Marcello Gigante, scrive che essi formarono «un trittico di straordinari umanisti che avevano vissuto la temperie storica del fascismo e della guerra, e avevano sperimentato il ritorno alla rinascita di quella libertà violentemente infranta. Un filosofo, un filologo, uno storico, nelle cui opere si sono intrecciate competenze diverse, e nelle cui vite si sono mescolate la passione comune per l’Antico e la tensione culturale e morale verso la libertà».v
Ci piace concludere, infine, la nostra breve ma, si spera, utile rassegna critica con la pregnante testimonianza di Andrzej Nowicki (Varsavia, 1919 – 2011), sulla quale vale la pena di soffermarsi un momento. Storico della filosofia e dell’ateismo in diverse Università polacche e studioso del Rinascimento italiano costruì un sistema di pensiero, da lui stesso chiamato “ergantropia”, per cui sostiene che nell’opera di ogni uomo sempre si avverte la presenza reale del suo creatore. Per questa ragione tutte le opere umane sono luoghi di infiniti incontri tra gli autori e i fruitori e determinano un arricchimento interiore per tutti.
In occasione di una conferenza tenuta nel 1963 a Napoli su Giordano Bruno, Nowicki ci tenne a incontrare Vincenzo Cilento e volle intrattenersi con lui. Gli interessava, in particolare, capire le ragioni per cui un prete cattolico potesse essere affascinato da un pensatore pagano e quali specifici pensieri di Plotino ne avessero attirato l’attenzione. Durante la loro lunga ed intensa conversazione chiese, fra l’altro, al filosofo barnabita se mai avesse trovato nelle Enneadi pensieri degni di essere ripensati.
Cilento fra le varie riflessioni, che ebbe modo di esternare, confidò: «Già nel mio primo incontro con Plotino sono stato colpito da un problema molto difficile, scoperto da questo pensatore. Fino a che l’uomo osserva pietre, alberi, animali, stelle, tutto è chiaro: egli è il soggetto che osserva gli oggetti. Ma quando vuole osservare se stesso, perde la certezza e non sa più dove si trova il suo vero io […]. L’esperienza ci mostra la nostra reale polilocazione. Ci troviamo sempre in diversi luoghi ad una volta e ciò dimostra che il nostro “vero io” è una compresenza di molte persone. Il “vero io” si trova realmente nelle mie opere. Sono presente in ogni esemplare del mio libro. Se sono stampate quarantamila copie, sono in quarantamila luoghi diversi».vi
Il filosofo polacco chiude la sua significativa testimonianza, affermando che dopo il lungo e proficuo incontro con Cilento si congedò da lui portandosi dietro la strana e piacevole sensazione che quella stanza fasciata di libri, in cui si erano amabilmente intrattenuti a discorrere e che aveva lasciata con una punta di rammarico, fosse del tutto simile a «un giardino filosofico, dove si avvertiva la presenza invisibile di Plotino».
Anche le parole di Nowicki confermano l’elevato livello del lavoro intellettuale di Vincenzo Cilento, la cui indagine filosofica ebbe il grande merito di aver saputo annodare con pazienza e sapienza i fili tra la classicità e la cristianità. Egli era riuscito ad armonizzare il razionalismo del pensiero antico con l’anelito al divino della fede cristiana, superando ogni dicotomia fra speculazione filosofica e pratica religiosa, tra vita intellettuale e vita morale.
Richiamando il titolo che demmo a un nostro volumetto, pubblicato vent’anni fa per il centesimo anniversario della nascita, si può dire che Cilento fu un autentico “Maestro di humanitas”. Ed è per questo che il suo alto magistero non potrà mai essere dimenticato, ma è destinato a rivivere in tutti coloro che attraverso l’amorevole studio dell’Antico intendono dare senso e valore alla complessa realtà del Presente.
Riconoscimenti
Vincenzo Cilento con pieno merito godette di apprezzamenti sinceri e universali e a tale proposito va subito detto che grande fu la stima che ebbe per lui il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Lo ricorda padre Andrea Bonini, che così racconta: «Quando si recava a Roma, il p. Cilento era ospite della Curia Generale dei Barnabiti in via Giacomo Medici in un piccolo appartamento dove le finestre davano su un tetto spiovente dalle tegole rosse. […] Un giorno, venendo io ospitato in quella stessa stanza, trovai, in un cassetto, biglietti di invito a colazione al Quirinale, intestati al Padre e firmati dal Presidente. Seppi successivamente, in un incontro con l’allora Ministro del Tesoro Emilio Colombo, quanto il Presidente avesse in stima il Padre e come se ne avvalesse per consigli e per collaborazione a qualche discorso ufficiale».vii
Sempre Padre Bonini aggiunge al riguardo, fra le note a pie’ di pagina, un piccolo aneddoto che conferma in quanta considerazione il barnabita lucano fosse tenuto dal Presidente: «Il Ministro Emilio Colombo raccontò che il Presidente Saragat un giorno gli aveva detto: “Tu che sei lucano, se capiti a Napoli, cerca di conoscere un tuo conterraneo, il barnabita p. Cilento. È un uomo dall’apparenza modesta, ma è un pozzo di cultura. Ti assicuro che ne vale la pena”».
Avendo la sua fama varcato i confini nazionali, lo studioso barnabita per tutti gli anni Sessanta ricevette frequenti inviti a convegni e seminari di studio organizzati dalle più importanti Università europee. Numerosi furono anche i riconoscimenti ricevuti da prestigiose Istituzioni culturali. Fu socio, per volere di Croce, oltre che della Accademia Pontaniana e della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Napoli, dell’Accademia dei Lincei, per la quale nel 1970 organizzò uno storico convegno su Plotino e il neoplatonismo, dove tenne una splendida Prolusione sull’attualità del filosofo di Licopoli. Il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, su proposta del Ministro dell’Istruzione Riccardo Misasi, il 2 giugno 1972 gli conferì il Diploma e la Medaglia d’oro riservati ai Benemeriti dell’Istruzione, della Cultura e dell’Arte.
Due vie per non dimenticare
Sulla scorta di quanto si è finora detto, non può stupire il fatto che per i suoi alti e riconosciuti meriti culturali Vincenzo Cilento sia stato celebrato con segni tangibili di notevole significato nei due luoghi più importanti della sua vita. Stigliano, il paese natale e della fanciullezza, gli intitolò una strada, non volendo essere da meno di Napoli, che del grande Padre barnabita era stata la città di adozione, avendovi egli trascorso oltre mezzo secolo della sua vita. La deliberazione, adottata all’unanimità dall’Amministrazione Comunale stiglianese, essendo sindaco Antonio Calbi, fu un atto quanto mai provvido.
Oggi, trascorsi da allora poco meno di quarant’anni, nel centoventesimo anniversario della nascita del grande barnabita stiglianese ci piace rievocare quella encomiabile iniziativa e corredarla semplicemente con una estemporanea e sintetica epigrafe latina, solo un minuscolo tassello, che si spera possa concorrere a tenerne viva la memoria:
«Si Pithagora Metapontum Eleaque Zenone gaudent, Hostiliani decus valde dicatur VINCENTIUS CILENTO, qui in hoc vico, de altis Lucanorum montibus labente, humili loco natus est: immo vero omnia auctorum Graecorum opera assidue excoluit, sed maxime dilexit Plotini Enneades, quas cum commentatione et interpretatione Italice vertit tam sapienter, ut Henry et Schwizer censerent illud opus plurimos ex inscitiae caligine eripuisse. Quamobrem VINCENTIUS CILENTO, quem Benedictus Croce permagni habuit, ex virtute Marsilii Ficini cognomen traxit. – A. D. MMXXIII, CXX post eius natales».
A significare che, se altri paesi si gloriano di nomi più celebri, ad esempio Metaponto di Pitagora ed Elea di Zenone, Stigliano può menare vanto di aver dato i natali a Vincenzo Cilento, che, amato da Croce e unanimemente ammirato dagli studiosi del mondo classico per la sua luminosa sapienza umanistica, fece parlare di sé come di un nuovo Marsilio Ficino e mirabilmente compendiò nella sua persona cultura, fede, umanità.
Prima di concludere, mette conto solo di ricordare che Margherita e Nicola Cilento, riconoscenti per l’intitolazione della strada, a loro volta con uno squisito atto di rara generosità donarono alla comunità stiglianese il diploma di benemerenza e la medaglia d’oro conferiti al fratello dal Presidente della Repubblica. Il nobile gesto confermava la solidità del loro legame con il paese natale, che né il tempo, né la lontananza erano riuscite a logorare.
Stigliano, il paese dei Barnabiti
Si vuole ora, in appendice, segnalare il fatto singolare che Stigliano vide nascere e crescere in poco più di mezzo secolo, tra la fine dell’Ottocento e fino agli anni Sessanta del secolo scorso, una nutrita famiglia di sacerdoti fra i Chierici Regolari di San Paolo, l’ordine religioso fondato alla vigilia del Concilio di Trento da Sant’Antonio Maria Zaccaria (Cremona, 1502 – 1539)viii, più comunemente noti con il nome di barnabiti. E, se Vincenzo Cilento ne fu per unanime consenso il fiore all’occhiello, è pur vero che molti suoi confratelli stiglianesi si distinsero per l’abnegazione e la sapienza mostrate in varie forme di apostolato.
Essi sono stati ricordati con orgoglio in uno scritto molto interessante di qualche anno fa dal compianto Padre Giuseppe Montesano, recentemente scomparso a Bologna, il quale, fra l’altro, avanza l’ipotesi, per ora non suffragata da prove documentali, che già nel Seicento nella comunità barnabitica vi possa essere stata la presenza di un sacerdote stiglianese. Certo è che Stigliano contò ben ventitré Padri barnabiti, che arricchirono la Chiesa con i loro preziosi carismi, operando in diversi àmbiti, ma soprattutto nella scuola.ix La maggior parte agì nei numerosi e rinomati Istituti barnabitici nazionali: a Lodi, a Genova, a Bologna, a Firenze, ad Arpino, a Napoli, a Trani; altri furono impegnati e lasciarono tracce profonde del loro ministero in Spagna, in Cile, in Argentina e negli Stati Uniti.
Va detto anche che non pochi barnabiti stiglianesi, per una curiosa coincidenza, nacquero in un’antica strada, che, in un altro scritto, ci piacque chiamare la via dei Barnabiti. In quell’occasione ci soffermammo sulla figura di un altro dotto studioso del mondo antico, Padre Giuseppe Francesco Diruggiero. Soldato e cappellano militare durante la Grande Guerra, conobbe la dura vita della trincea. Giornalista, poeta e scrittore, compose anche una “Stiglianeide”, un delizioso epillio di 100 sestine in endecasillabi, suddiviso in 5 Tempi, in cui si dipinge in tono semiserio un vivace quadro della realtà storica e sociale del paese natale.x
Tornando al tema della rigogliosa fioritura di vocazioni barnabitiche a Stigliano, è innegabile che si tratti di un fenomeno, che, per i suoi rilevanti aspetti storici, sociali e culturali meriterebbe di essere studiato in modo approfondito. Si auspica, perciò, che qualche persona di buona volontà s’impegni in un lavoro di ricerca sulle ragioni per cui Stigliano vide nascere una così numerosa e benemerita schiera di barnabiti Ma, fatto non meno importante, contò molte decine di ragazzi appartenenti a famiglie modeste e perfino povere, che nelle scuole barnabitiche furono accolti, studiarono e poterono così conseguire un riscatto sociale, che altrimenti sarebbe stato loro negato.
Sarebbe un lavoro interessante e meritorio e si tratterebbe, peraltro, di proseguire un percorso già mirabilmente tracciato da padre Cosimo Vasti, ora attivo nella Chiesa Madre della Divina Provvidenza a Bari, che qualche anno fa ha raccolto in un pregevole volume una serie di splendidi “medaglioni” dei suoi confratelli concittadini, che insegnarono nell’Istituto Bianchi di Napoli. Noi crediamo di fare cosa utile proponendo qui la cronotassi dei sacerdoti barnabiti stiglianesi.
- P. Sarubbi Salvatore (1870 – 1937)
- P. Sarubbi Michele (1885 – 1946)
- P. Giuseppe Francesco Diruggiero (1889 – 1978)
- P. Salvatore Diruggiero (1902 – 1990)
- P. Vincenzo Cilento (1903 – 1980)
- P. Michele Rienzi (1909 – 1985)
- P. Antonio Lavaia (1915 – 2002)
- P. Antonio Sarubbi (1916 – 1993)
- P. Nicola Fornabaio (1917 – 2006)
- P. Francesco Rienzi (1918 – 1965)
- P. Pietro Rienzi (1919 – 1968)
- P. Rocco Rienzi (1920 – 1986)
- P. Nicola Lubreglia (1923 – 1963)
- P. Vincenzo Marchese (1924 – 1992)
- P. Giuseppe Gariuolo (1924 – 2019)
- P. Giovanni Mancino (1927 – 2021)
- P. Rocco Barisano (1932 – 1963)
- P. Giuseppe Montesano (1935 – 2023)
- P. Rocco Soldo (1936 – 2011)
- P. Pasquale Lubreglia (1936 – 2006)
- P. Salvatore Sinisgallo (1937 – 2017)
- P. Cosimo Vasti (1945)
- Pietro Sammartino (1950)
Note bibliografiche
Una prima bibliografia di Vincenzo Cilento, pubblicata ad opera dell’Accademia Nazionale dei Lincei, comprendeva 72 titoli, il primo dei quali, “Il valore dello studio”, risaliva al 1939. Una seconda rassegna più ampia apparve nella rivista storica “Barnabiti studi”, da noi più volte citata nelle note. Questa seconda bibliografia è articolata in tre sezioni: la prima, “Scritti destinati alla pubblicazione”, comprendeva ben 87 titoli; la seconda, “Scritti non destinati alla pubblicazione”, 25 titoli; e, infine, “Scritti sul P. Cilento”, 9 titoli. Qui si riporta l’elenco degli scritti su Padre Cilento apparso nel 2003 sulla rivista Barnabiti, che è stato integrato con altri scritti pubblicati successivamente.
- Fausto NICOLINI, “Un interpetre di Plotino: Vincenzo Cilento”, Napoli, Artigianelli, 1950, 12 pp. – A pag. 13: «Il presente articolo, pubblicato già nel “Mondo” di Roma del 30 maggio 1950 è stato, oggi 2 giugno del medesimo anno, ristampato in 150 esemplari fuori commercio, presso la Tipografia Associazione napoletana degli Artigianelli, diretta da Angelo Rossi».
- Emma DEL BASSO, “Translatio perennis. Figure e forme dell’antico nel pensiero di V. Cilento”, Napoli, Loffredo, 1977, 201 pp.
- M. GHIDINI TORTORELLI, “Immagini della filologia in Vincenzo Cilento”, Napoli, Associazione Lucana G. Fortunato, 1980, 16 pp.
- Andrea BONINI, “Vincenzo Cilento, un umanista cristiano”, in “Eco dei Barnabiti”, LX (1980), pp. 28-30
- Giuseppe MARTANO, “Vincenzo Cilento”. Con la bibliografia degli scritti a cura di Emma Del Basso. («Profili e Ricordi», VII). Napoli, Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti, 1982, 40 pp.
- Emma DEL BASSO, “Antico e Nuovo nel pensiero di Vincenzo Cilento”, in “Esperienze Letterarie”, IX (1984), n° 4, pp. 71-82
- Efrem LAMONICA, “Nel decennale della scomparsa di P. Vincenzo Cilento” [Inaugurazione della lapide che lo ricorda]. Napoli, Istituto Bianchi, 26 novembre 1990, 8, pp. n. n.
- Emma DEL BASSO, “Presentazione a «Ore di poesia» di Vincenzo Cilento”, Napoli, Tip. Laurenziana, 1991, 28 pp.
- Andrea BONINI, “Il sapiente e la sua dimora: una vita al «Bianchi»”, in “Eco dei Barnabiti”, LXXXIV (2004), n° 1, pp. 37-38
- Vito Angelo COLANGELO, “Il Maestro di humanitas Ricordo di Vincenzo Cilento nel centenario della nascita”, (col patrocinio dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Potenza, Bruno, 2003, 59 pp.
- Andrea BONINI, “Cilento Padre e Maestro”, in “P. Vincenzo Cilento: un esempio di Paideia classica e cristiana” – Giornata di studio nel centenario della nascita, Napoli, 4 dicembre 2003. In “Barnabiti Studi (estratto) – Rivista di ricerche storiche dei Chierici Regolari di San Paolo”, n° 20, 2003, pp. 14-26
- Aniello MONTANO, “Delle Trasposizioni dell’Antico in Vincenzo Cilento”, ibidem, pp. 35-43
- Gerardo SANGERMANO, “Vincenzo Cilento e il Medioevo”, ibidem, pp. 44-48
- Marisa TORTORELLI GHIDINI, “L’Umanesimo di Vincenzo Cilento”, ibidem, pp. 49-53
- Michele MALATESTA, “Il mio ricordo di Padre Cilento”, ibidem, pp. 54-56
- Benito URAGO, “Saggio sulla poesia di Vincenzo Cilento”, Provincia Italia Centro Sud dei PP. Barnabiti, Napoli, 2012, 199 pp.
- Videoclip, “Ricordando Cilento”, con testi di Gerardo SANGERMANO e Vito Angelo COLANGELO, realizzato nel 2005 con il patrocinio della Comunità Montana della Collina Materana
- A. Nowicki, Vincenzo Cilento e la polilocazione dell’io, in Presenza Taurisanese, a. XXXVII, n. 7 / luglio 2019. Da iuncturae.eu
i F. Nicolini, Croce, 1,“La vita sociale della nuova Italia”, Bari Laterza, 1962, p. 471
ii L. Storoni, Lettera autografa a Margherita Cilento del 23 marzo 1980 (archivio dell’autore)
iii A. Montano, Delle trasposizioni dell’antico in Vincenzo Cilento, Barnabiti Studi 20, 2003, p. 37
iv E. Del Basso, Un insigne barnabita: VINCENZO CILENTO, ne Il Bianchi, Anno II, n° 3, febbraio 1990, p. 4
v M. Tortorelli Ghidini, Giovanni Pugliese Carratelli, Uno storico senza frontiere, in Profili e Ricordi XXXVIII, Società Nazionale Scienze, Lettere e Arti, Napoli, 2014, p. 11
vi A. Nowicki, Vincenzo Cilento e la polilocazione dell’io, in Presenza Taurisanese, a. XXXVII, n. 7 / luglio 2019, p. 9. Da www. Iuncturae.eu
vii A. Bonini, Vincenzo Cilento un umanista cristiano, in “Eco dei Barnabiti”, LX (1980), pp. 28-30
viii Antonio Maria Zaccaria, giovane rampollo di una illustre famiglia di Cremona, sotto la guida di un padre domenicano aveva deciso di assecondare la sua vocazione religiosa, subito dopo aver finito gli studi universitari nel 1524 e aver conseguito la laurea in medicina. Diede così vita alla congregazione, che sarà detta dei barnabiti dal nome dalla prima loro chiesa officiata, quella di San Barnaba in Milano.
ix P. Giuseppe Montesano, Barnabiti 500 anni al servizio della Chiesa, in “Fermenti”, periodico della diocesi di Tricarico, anno XXIII, 2013, n° 124, p. 35 sg
x G. Diruggiero, Stiglianeide, Leoncavallo, Trani, 1967